La storia di Atene ha esercitato da sempre
un ruolo egemone nella civiltà greca facendo sì
che la città dell’Attica divenisse modello
esemplare ed universale di arte e cultura.
Da sempre attenta alla formazione della propria
classe dirigente, a partire dal V secolo, Atene
diventa importantissimo centro di riferimento per
un gruppo di intellettuali, dalla formazione filosofica
molto diversa, che si dedicarono, a pagamento, alla
preparazione del ceto dirigente con particolare
attenzione per l’insegnamento della retorica.
Si tratta dei cosiddetti “Sofisti” (i sapientissimi),
tutti rigorosamente di origine straniera, visto
che nessun cittadino ateniese avrebbe consentito
a prestare un servizio professionale a pagamento.
Vista la loro condizione di stranieri non potevano
partecipare alla vita politica della città e sostanzialmente
erano considerati con un certo disprezzo, assimilati
a musici e attori, ma è storicamente innegabile
che i Sofisti esercitarono un ruolo importante nell’elaborazione
dell’ideologia educativa della città.
Protagora, Gorgia, Prodico,
Ippia, Antifonte sono i sofisti
più celebri, coloro i quali diedero un fondamentale
contributo alla formazione di un nuovo concetto
di cultura. Tale nuovo concetto non concepiva
più la cultura come un insieme di conoscenze e capacità
di esclusivo possesso del sacerdote, del filosofo
o dello scienziato, ma come formazione morale,
retorico - linguistica,
dell’uomo.
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Platone, il filosofo della verità, nacque
nel 427.a.c, nello stesso giorno in cui si dice
sia nato il dio
Apollo,
alla fine del mese di maggio. Di Platone
si è detto ripetutamente che fosse un “predestinato
della filosofia” e tante leggende si sono susseguite
sulla sua divina designazione.
Una di queste ci racconta di un giovanissimo Platone
orientato alla carriera di drammaturgo che, dopo
aver assistito ad un discorso del maestro Socrate,
provò un impulso irrefrenabile di bruciare il dramma
che stava scrivendo per seguire la strada della
filosofia.
Un’altra leggenda, dalle capacità evocative di ancor
più fascino, narra che un giorno Socrate sognò un
piccolo cigno che gli stava sulle ginocchia e che
all’improvviso volò via dopo aver intonato un canto
dolcissimo.
Il giorno dopo Socrate conobbe Platone
e si convinse che il cigno del sogno non poteva
che essere quel giovane fanciullo ventenne che da
quel momento divenne il suo più fedele discepolo.
Socrate non lasciò nulla di scritto e il suo pensiero
è un tesoro che affidò ai suoi discepoli, Platone
su tutti.
Cicerone nelle “Tuscolanae disputationes”
definisce Socrate “colui il quale ha saputo richiamare
la filosofia dal cielo alla terra”.
Sul frontone del tempio di Apollo a
Delfi
era scritto “gnoti sauton”, conosci te stesso.
Socrate ne fece un motto non solo filosofico ma
di vita, assegnando alla filosofia il sublime compito
di aiutare l’uomo nel percorso di comprensione di
se stesso, in un esame continuo, una ricerca infinita
capace di condurre al riconoscimento dei propri
limiti, per rendere l'uomo giusto e solidale con
gli altri.
Socrate definisce la virtù una vera e propria scienza
e non solo un abitudinario ossequio alle norme tradizionali
di comportamento ed è per questo che la sua filosofia
è filosofia morale. Il suo amore per una
continua ricerca diventa la base per quello che
è forse l’aspetto più tipico di tutto l’insegnamento
socratico: il “sapere di non sapere” spinge
ed invoglia alla critica continua ed alla confutazione
di ogni umana pretesa di possesso di un sapere definitivo.
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La vita di Socrate fu esperienza di ricerca
, virtù, verità e coraggio ma fu nella morte che
il maestro raggiunse il momento più sublime di testimonianza.
Arthur Schopenauer affermò: “La morte di Socrate
e la crocefissione di Cristo fanno parte dei grandi
tratti caratteristici dell’umanità”.
“L’Apologia di Socrate” e il “Critone”, dialoghi
scritti dal discepolo Platone, narrano la drammatica
vicenda del processo e della morte di Socrate.
Il processo a Socrate è stato definito “l’avvenimento
mitico della storia della filosofia”.
Anito e Licone, due esponenti del regime democratico,
servendosi dell’aiuto del giovane Meleto, un fallito
letterato, accusano Socrate e lo portano in tribunale
con l’imputazione di adorare divinità estranee ai
culti ateniesi e di corrompere i giovani con i suoi
discorsi di piazza, rei di minare l’ordine sociale.
Inizia così la storia di un uomo che parla davanti
ad una giuria facendo l’avvocato difensore di se
stesso e ribattendo punto su punto ogni accusa che
gli viene mossa.
Il maestro resiste sino all’ultimo ma alla fine
è giudicato colpevole con 280 voti contro 220 e
per lui viene decisa la condanna a morte.
Socrate si avvia alla fine della sua vita
terrena da cui si congeda con l’ultimo discorso
che rivolge agli ateniesi: "I miei figli, quando saranno
cresciuti, cittadini di Atene, puniteli se vi sembrerà
che si occupino dei beni materiali piuttosto che
del bene dell’anima. Se si daranno aria di essere
qualcuno quando non sono nessuno, svergognateli
come io ho fatto con voi, perché non si curano di
quello di cui dovrebbero curarsi, perché credono
di valere qualcosa quando non valgono nulla. Se
così farete, io e i miei figli avremmo avuto dalla
vita quello che era giusto avere. Ma è tempo di
andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi andrà
a stare meglio è un mistero per tutti, ma non per
Dio".
Sono queste le sue ultime parole, la sua
lezione universale di umiltà, virtù, coraggio e
amore per la vita fin sul punto di morte, una lezione
che attraversa tempo e storia, attuale nell’antica
Atene come nel mondo moderno e che fa di Socrate
l’eroe del pensiero.
Articolo di Francesca Ceci